Idrografia del distretto Le risorse idriche del bacinoLe risorse idriche superficiali ed il reticolo idrografico perenne La rete idrografica nel bacino del Tevere è fortemente condizionata dalle condizioni climatiche e dall’evoluzione geologica recente. Le condizioni geologiche influenzano il rapporto tra l’infiltrazione delle acque nel sottosuolo e lo scorrimento superficiale.Nel settore orientale del bacino, la dorsale appenninica si eleva con una quota media di 1000 m.; il reticolo di drenaggio è molto esteso e segue i sistemi di fratture delle rocce che sono state interessate prima da una tettonica compressiva e, successivamente, da una tettonica distensiva con formazione di horst e graben. La parte superiore del corso principale del fiume è a carattere torrentizio e soltanto negli ultimi 100 Km, dopo l’innesto del tributario fiume Nera, si stabilizza e assume un carattere meandriforme.La portata media del Tevere alla chiusura del bacino è pari a 225 m³/s, con valori intorno a 360 m³/s in febbraio, 217 m³/s in maggio, 125 m³/s in agosto e 250 m³/s in novembre. Le portate massime superano i 1500 m³/s e le minime scendono a 60 m³/s. Eccezionalmente la portata del Tevere alla foce ha raggiunto valori minimi intorno ai 30 m³/s e valori massimi superiori a 3.500 m³/s. I valori medi di magra invece si aggirano sugli 80 m³/s, mentre fino ai primi del ‘900 si attestavano intorno a 130 m³/s.Il bacino presenta un esteso reticolo idrografico alimentato costantemente dalle acque sotterranee (reticolo perenne) ed un reticolo, che si attiva solo nei periodi piovosi, alimentato dalle acque di ruscellamento.Le acque sotterranee, provenienti dalle idrostrutture carbonatiche, dagli apparati vulcanici e dalle coltri alluvionali fluviali e fluvio-lacustri, alimentano il flusso di base rappresentato dalla portata in alveo nei periodi con assenza di precipitazioni (e quindi di ruscellamento superficiale).Dove mancano consistenti serbatoi di acque sotterranee, il regime dei corsi d’acqua assume carattere stagionale, con fasi estive di magra estrema o anche di totale esaurimento.È questo il caso degli affluenti del Tevere posti a monte della diga di Corbara (con l’eccezione del sistema Chiascio-Topino, alimentato da acque sorgive, Nestore e del sistema Chiani-Paglia).Il settore settentrionale, denominato Alto Tevere, è prevalentemente costituito da depositi argilloso-arenacei ed è povero di risorse idriche sotterranee. I corsi d’acqua sono caratterizzati da valori molto elevati di ruscellamento di superficie nelle stagioni più umide e da marcate magre estive. In questo settore i rapporti tra acque superficiali e sotterranee assumono caratteri differenti nelle diverse stagioni. Nei periodi più umidi il ruscellamento di superficie alimenta gli acquiferi alluvionali, mentre nei periodi aridi il deflusso superficiale risulta sostenuto dalle risorse immagazzinate nei depositi fluvio-lacustri o in acquiferi di modesta entità.Il settore sud-orientale della dorsale appenninica, dove dominano i rilievi carbonatici, si può considerare un enorme serbatoio di acque sotterranee che alimentano un esteso reticolo idrografico perenne, con portate di magra estiva variabili da qualche centinaio di litri al secondo a qualche decina di metri cubi al secondo. In quest’area, durante l’anno le acque sotterranee alimentano costantemente il reticolo idrografico tramite sorgenti sia puntuali sia lineari.Il settore sud-occidentale, costituito dagli apparati vulcanici, è caratterizzato dalla presenza di un minuto reticolo di modesti corsi d’acqua perenni, che hanno portate di magra generalmente inferiori al metro cubo al secondo; anche in questo settore, il reticolo idrografico perenne viene costantemente alimentato da apporti di acque sotterranee.Negli estesi depositi alluvionali, che bordano il corso del Tevere a valle del Nera, è ospitato un importante acquifero, prevalentemente alimentato dal deflusso superficiale. Le acque immagazzinate nei depositi alluvionali hanno continui scambi con le acque di superficie, regolati dalle diverse condizioni di potenziale, che mutano nel corso delle stagioni.Le risorse idriche sotterraneeQueste sono suddivise, in relazione alla natura delle rocce che le costituiscono, in tre principali categorie: strutture carbonatiche, strutture vulcaniche, acquiferi alluvionali (compreso l’acquifero costiero).Idrostrutture carbonaticheSi identificano nel bacino 14 “idrostrutture” prevalentemente costituite da rocce carbonatiche, dove sono concentrate le principali risorse idriche sotterranee che alimentano gran parte delle sorgenti e del reticolo idrografico perenne del bacino del Tevere.Queste “idrostrutture” sono costituite da rocce che hanno caratteri sufficientemente omogenei, chiuse alla periferia da limiti idraulici generalmente ben definiti. Le rocce che costituiscono le idrostrutture mostrano sempre particolare attitudine ad assorbire, immagazzinare e a rilasciare in superficie le acque meteoriche attraverso le sorgenti. Tralasciando la descrizione analitica di tali idrostrutture è interessante però conoscere le portate delle sorgenti puntuali e lineari alimentate dalle medesime, riassunte della sottostante tabella. Idrostruttura Portata di magra ordinaria (m3/s) Portata media (m3/s) Umbria nord - orientale 3,5 6,5 Valnerina 15 19 M.te Terminillo 5 6,5 Stifone - Montoro 10 13,5 M.te Nuria e Monte Velino 22 32 M.ti Simbruini settentrionali 7,5 14 Capore, M.ti Lucretili-Tiburtini Meridionali e M.ti Cornicolani, Marsica occidentale, medio Aniene 10* 15* Idrostrutture minori 1,0 TOTALE 73 107,5 * Valori stimati Acquiferi degli apparati vulcaniciGli apparati vulcanici Vulsini, Cimini e Sabatini costituiscono gran parte del versante destro del bacino del Paglia e del versante destro del bacino del Tevere, a valle della confluenza con il Paglia. L’apparato vulcanico dell’Amiata è posto all’estremo margine nord-occidentale del bacino del Paglia. L’apparato vulcanico Albano costituisce il versante sinistro della valle del Tevere dopo la confluenza con il fiume Aniene.Tutti questi apparati vulcanici sono sede di acquiferi che alimentano un’estesa rete di sorgenti prevalentemente lineari.Gli apparati vulcanici sono costituiti da prodotti piroclastici alternati a colate laviche irregolarmente distribuite. Queste rocce poggiano su un substrato argilloso-sabbioso plio-pleistocenico e, localmente, sui depositi alluvionali del Paleotevere, che hanno la funzione di dreno nei confronti delle piroclastiti soprastanti.Questi acquiferi, costituiti da rocce silicee, hanno la caratteristica di erogare acque con salinità molto bassa, anche se in alcuni settori la miscelazione con fluidi di origine geotermica conferisce alle acque caratteristiche aggressive con forti incrementi della salinità.Nella seguente tabella sono riportate le portate delle sorgenti puntuali e lineari alimentate dagli acquiferi degli apparati vulcanici Acquiferi Portata (m3/s) Monte Amiata 0,2 Vulsini, Cimini e Sabatini 10,90 Colli Albani 3,8 Totale 14,90 Acquiferi significativi nei depositi alluvionali fluvio-lacustri e costieriI depositi alluvionali fluvio-lacustri del bacino del Tevere si possono dividere in tre grandi gruppi che si differenziano per caratteristiche e per origine.Il primo gruppo comprende depositi alluvionali fluviali, che bordano il corso del Tevere dalle sorgenti alla foce e gli analoghi depositi del fiume Paglia.Il secondo gruppo comprende i potenti depositi fluvio-lacustri pleistocenici delle conche intermontane di Gubbio, della Valle Umbra, della conca Ternana, della Piana di Leonessa e della conca Reatina che sono stati interessati da importanti opere di “bonifica” .Il terzo gruppo comprende gli acquiferi costieri prossimi alla foce del fiume Tevere.Gli acquiferi alluvionali e fluvio-lacustri svolgono un’importante funzione di serbatoio di acque sotterranee. Questi serbatoi hanno attivi scambi idrici con le acque di superficie, contribuiscono alla regimazione dei deflussi superficiali e consentono consistenti prelievi di acque sotterranee naturalmente filtrate, a spese del locale deflusso superficiale.Il regime idrologicoIl regime delle precipitazioni nel bacino del Tevere, basato sulla distribuzione mensile, può essere classificato come regime subcostiero, caratterizzato da due valori minimi di precipitazione in estate ed in inverno (con il minimo estivo più basso di quello invernale) e da due valori massimi di precipitazione in autunno ed in primavera (con il valore autunnale più alto di quello estivo). Pertanto, il regime delle precipitazioni è più simile a quello costiero, caratterizzato da valori estivi minimi e valori massimi invernali.La precipitazione media annua è pari a circa 1.200 mm e varia tra i 700 mm a livello del mare ed i 2.000 mm nell’Appennino.Le piene del TevereNel periodo che va dall’anno 1000 al 1870 si sono avute 24 piene eccezionali del Tevere (vale a dire con altezza superiore a 16 m. all’idrometro di Ripetta), ben “documentate” dalle lapidi in pietra ubicate sui palazzi del centro storico o agli idrometri che si sono succeduti nel tempo a Ripetta o ancora dalle descrizioni degli effetti disastrosi redatte dai contemporanei. Si è visto che in alcuni periodi storici (il 1400 e il 1500 in particolare) molte inondazioni sono state rese più gravi dall’incuria e dal restringimento dell’alveo fluviale; pertanto, ad equivalenti eventi piovosi sono corrisposti nel tempo effetti differenti. La variazione nel tempo del trasporto solido e l’avanzamento della linea di costa, in prossimità della foce, aiutano a comprendere i periodi in cui effettivamente le inondazioni a Roma erano dovute ad eventi con portata veramente eccezionale.Nel periodo di tempo di 250 anni dal 1450 al 1700, ad esempio, la linea di costa in prossimità della foce del Tevere ha avuto un avanzamento medio di circa 10 m/anno ed in tale periodo si sono avute ben 13 piene eccezionali, di cui c’è giunta notizia certa nell’intero periodo di 870 anni dal 1000 al 1870. In particolare dal 1530 al 1606 si sono avute ben 5 piene eccezionali, di cui 4 con altezza superiore a 18 m. e, tra queste, la piena del 24 dicembre 1598 che, con i suoi 19,56 m., costituisce il massimo storico, a cui è possibile associare una portata al colmo di circa 4.000 m³/s.Relativamente agli eventi più recenti, per le 55 piene con portata maggiore o uguale a 1400 m³/s, esaminate del periodo 1921 – 2000, è stata eseguita un’analisi a cluster della distribuzione delle piogge dei 6 giorni precedenti la piena.È risultato che piogge crescenti da monte verso valle sono le più frequenti in 29 casi, seguite dalle piogge in sostanza uniformi su tutto il bacino con 18 casi ed, infine, dalle piogge decrescenti da monte verso valle in 8 casi. Le piene maggiori sono state generate da piogge del secondo “tipo” (2 dicembre 1900, 15 febbraio 1915 e 17 febbraio 1976) o del terzo “tipo” (17 dicembre 1937 e 3 settembre 1965).Nel periodo 1921 – 2000 il maggior mutamento all’interno del bacino idrografico, per quanto concerne gli effetti sulle piene, è rappresentato senza dubbio dalla costruzione della diga con serbatoio di Corbara, avvenuta tra il 1959 e il 1963, che con i suoi 190 milioni di m³ ha la capacità di laminare le piene del Tevere riducendo l’entità dei colmi a Roma. La frequenza delle piene con portata al colmo maggiore o uguale a 1400 m³/s si è, infatti, ridotta di circa un terzo nel periodo 1963 – 2000 (con Corbara in funzione) rispetto al precedente periodo (1921 – 1962). A questa diminuzione ha in parte anche concorso una diminuzione degli afflussi, valutabile tra il 10 e il 15% nel corso degli ultimi 100 anni.L’ultima piena importante a Roma risale al dicembre 1937 con un’altezza idrometrica a Ripetta di 16,84 m., cui corrisponde una portata al colmo di circa 2.750 m³/s; in concomitanza di tale evento, in ogni modo, si sono avuti soltanto limitati allagamenti in alcuni punti della città (come a monte di Ponte Milvio, all’isola Tiberina e nel Lungotevere Ripa all’altezza del San Michele). Da allora le “difese” di Roma dalle piene del suo fiume sono migliorate soprattutto, come visto, per la costruzione del drizzagno di Spinaceto nel 1940 e del serbatoio di Corsara ed, infine, grazie al migliore utilizzo delle golene lungo il corso del fiume nella zona a nord della città.Gli interventi di sistemazione idraulica descritti, i sempre maggiori utilizzi delle risorse idriche superficiali e sotterranee ed il trend negativo dell’afflusso medio di precipitazioni verificatosi negli ultimi anni hanno determinato una migliore condizione del deflusso delle piene ordinarie.Peraltro è da evidenziare la sempre più estesa urbanizzazione del bacino, intervenuta nel corso degli anni, con superfici rese maggiormente impermeabili, nel mentre un più elevato abbandono del territorio di montagna ha comportato, e continua a comportare, il degrado dei versanti e della rete idraulica, cui si aggiunge una sempre minore manutenzione di quel sistema di opere idrauliche e di bonifica realizzate nel corso dei secoli. Infine è da rimarcare una sempre maggiore presenza di strutture, abusive e non, realizzate in aree destinate alla libera esondazione del corso d’acqua, con conseguenze negative, in condizioni di piena, potendo formare, se trasportate in alveo, la costituzione di sbarramenti temporanei e la successiva formazione di onde di piena artificiali ed eccezionali.Per quanto detto, la città di Roma deve essere considerata tuttora vulnerabile anche per piene di entità pari a quelle avvenute nel passato recente (anni 1870, 1900, 1915 e 1937), che hanno avuto portate al colmo comprese tra 2.750 e 3.300 m³/s